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La Francia si spacca sul ‘certificato di verginità’

Nella Francia del 2020 ci si divide sul “certificato di verginità”: il governo ne ha annunciato l’abolizione in nome della dignità e dei diritti delle donne, oltre che della parità dei sessi, promettendo anche di punire chi lo emette. I medici si ribellano, riconoscono l’anacronismo e l’insosteniblità della pratica, ma spiegano che in alcuni casi, sempre più rari, rilasciare l’attestato che la ragazza è vergine “può proteggerla” da violenze e molestie.

In applicazione delle misure ‘antiseparatismo’ nella società, una formula dettata dal presidente Emmanuel Macron, il ministro dell’Interno Gerald Darmanin propone di punire penalmente i certificati di verginità, ovviamente un reperto del passato: “Alcuni medici osano ancora certificare che una donna è vergine per consentire un matrimonio religioso – ha spiegato Darmanin -, nonostante la condanna di queste pratiche da parte del Consiglio dell’Ordine dei medici. Non soltanto lo vieteremo formalmente, ma ne proporremo la penalizzazione”. Lo scorso febbraio era stato Macron in persona ad enunciare le grandi linee del progetto di modernizzazione della società: “Nella Repubblica non si possono chiedere certificati di verginità per sposarsi. Nella Repubblica non si deve mai accettare che le leggi della religione siano superiori alle leggi della Repubblica”.

Una posizione netta, che però si scontra, negli ultimi giorni, con quelle più pragmatiche e in chiaroscuro di gruppi di medici. Gruppi nei quali non si riconosce Joelle Belaisch-Allart, presidente del Collegio nazionale ginecologi e ostetrici, che spiega a Le Monde: “Sono casi estremamente rari ma esistono, con più o meno richieste secondo il luogo di esercizio, e si tratta essenzialmente di richieste di origine religiosa. Non c’è alcuna ragione di esigere che la donna arrivi vergine al matrimonio, sono pratiche di altri tempi, una violenze contro le donne che non deve più esistere”.
Il governo “sbaglia obiettivo prendendosela con i professionisti della Sanità – denuncia però in un comunicato l’Associazione nazionale centri per l’interruzione di gravidanza e la contraccezione – in ogni caso la richiesta di questo certificato è l’occasione di accogliere, valutare la situazione e discutere di queste pratiche con la donna. Questo spazio di parola è utile e deve rimanere possibile. Il divieto non farebbe che negare queste pratiche comunitarie senza farle scomparire”.

Per Isabelle Derredinger, segretaria generale dell’Ordine delle ostetriche, “certificare la verginità è un’inezia anatomica, ma non prevedere questo documento può portare a mettere delle donne in pericolo”. “Spiegare e smontare i pregiudizi” è l’obiettivo di un’altra ginecologa intervistata da Le Monde, Ghada Hatem, che ha creato la Casa delle donne di Saint-Denis, una cité particolarmente difficile della banlieue parigina, che accoglie donne “vulnerabili o vittime di violenza”: “Quando vedo che la donna che me lo chiede ha dei mezzi, che può cavarsela senza, rifiuto di emettere un certificato del genere. Le spiego, le parlo dei diritti delle donne, delle battaglie delle generazioni che l’hanno preceduta affinché le donne possano disporre del loro corpo. Ma in certi casi – aggiunge – per le giovanissime soprattutto, la mia priorità è innanzitutto di proteggerle. E se la consegna di un certificato di verginità è l’unico modo, lo faccio e me ne prendo la responsabilità”.

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